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Il 17 novembre 1967, nella casa di Città del Messico in cui vive da quindici anni, Carlo Coccioli inizia a scrivere un «libro-altra-cosa», come lo definisce lui stesso, un'opera diversa e molto lontana da tutte le altre: «Il [libro] più importante di tutti, il più aspro, il più consolante: il mio solo libro necessario». Documento 127 è un'autobiografia, è un saggio, è il resoconto di una ricerca spirituale, è l'esegesi di un mondo molto caro a Coccioli e centrale nel suo percorso: quello dell'ebraismo. Coccioli ha una conoscenza vastissima della religione e della cultura ebraica, che gli permette di sondare nel profondo la condizione di quel popolo da cui una parte della sua famiglia discende. «Il giudaismo è in primo luogo un destino» e poi «una vocazione», ma essere ebrei per Coccioli significa anche convivere con la dimensione dell'esilio e dell'attesa, in particolare quella del Messia.